LA DOLOMITICS DI ELIA

EPISODIO 1 – CHE CI FACCIO QUI? PARTO O NON PARTO?

La Dolomitics è quella cosa che ti fa trovare il riscaldamento a 26° quando metti in moto l’auto in un assolato pomeriggio di luglio.Non saprei dire quando mi sia balenata l’idea di iscrivermi; da qualche tempo visitavo il sito dei Dolomitics, e scrutando i percorsi mi chiedevo se fossi in grado di completare il percorso Fiemme: prima ancora di essermi dato una risposta avevo già inviato con PayPal i 60 € per l’iscrizione, tutto questo 10 giorni prima della partenza.C’era giusto il tempo per la prova generale di domenica 5 luglio: 210 km con Alpe di Siusi e i passi Sella, Costalunga e Pampeago, gli ultimi tre del percorso della randonnée. Sole cocente e caldo intenso per tutto il percorso, ma nonostante il principio di insolazione potevo dirmi soddisfatto della condizione atletica; mi dissi: “basta che il tempo non faccia le bizze (in realtà ho detto il mona) e dovrei riuscire, salvo cataclismi meccanici o sfighe varie, a portarla a casa nel tempo limite (20 ore).”Peccato che il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare prevedesse da circa due settimane l’irruzione di un fronte freddo dall’Atlantico verso il Triveneto proprio per sabato 11. I giorni passavano dispensando a profusione un sole quasi canicolare e i bollettini restavano lapidari: la mia prima “rando” si sarebbe svolta in una giornata da tregenda.

Arriva venerdì 10: un sole beffardo illumina una giornata lavorativa trascorsa con la tranquillità di un trafficante di cocaina al metal detector in aeroporto, e alle 17 stacco dal lavoro per completare le operazioni di partenza. Ritiro della bici dal meccanico, riti scaramantici, scongiuri vari e ripetuti controlli del necessaire, con la convinzione che avrei sicuramente lasciato a casa qualcosa.Parto alla volta di Tesero con il morale di un condannato al patibolo, sole e caldo mi innervosiscono sempre più con il passare del tempo, e prima di imboccare la statale per la Val di Fiemme mi attacco al telefono con l’amico Martinelli: “Roccia (-il suo soprannome-), ‘nessa tutti en mona, io non parto!”. Dopo 10 minuti di telefonata fermo a bordo strada, il buon Martinelli riesce a convincermi: “oh, tu parti, al massimo ti ritiri, però non vengo a prenderti”. Forte dell’iniezione di fiducia, arrivo a Tesero, ritiro il pacco gara (e bevo ‘na birra perché magari porta fortuna) faccio il check-in in albergo e raggiungo la pizzeria sede della cena tra partecipanti.Mi siedo al tavolo e mi rendo conto di non avere nulla da condividere con i presenti; inizia così una maratona di film mentali nella mia testa: oddio sono l’unico con la panza, sono tutti fortissimi, cos’è un ROAM? Ma perché fanno tutti il corto domani? Ma come Parigi Brest Parigi, meglio la pasta la pizza è pesante poi non dormo, una birra la bevo lo stesso ma devo mangiare come gli altri, vorrei il dolce non lo prende nessuno. Per fortuna il dolce lo ordina il buon Paolo (non scordatevi questo nome), commensale conosciuto da poco, che con il suo fare scanzonato e determinato al tempo stesso mi esorta a prendere la creme brulèe, perché la “ven bona” sul Fedaia. Seguo il consiglio, ordino l’ultima birra per star sicuro e mi ficco sotto le coperte pronto a rigirarmi e maledirmi fino alle 4:30 del giorno dopo.La sveglia suona, nel torpore apro la finestra convinto di sentire scrosci d’acqua, invece le prime luci dell’alba rivelano solo qualche nube bassa, apparentemente innocua. Ingurgito cibi vari continuando a girare intrepidamente per la stanza e alle 5:45 sono pronto per scendere da Tesero a Lago. Bici fuori dalla macchina, borselli riempiti all’inverosimile di barrette e indumenti, cuore ricolmo di speranza, testa piena di bestemmie e fantozzianamente mi presento alla partenza alle 6:00 spaccate con la mia bella maglia originale della Chateau d’Ax in onore dell’idolo d’infanzia Bugno Gianni…Ringraziamo Elia che in queste prime battute ci ha trasportato a quei momenti e siamo sicuri che anche tutti voi vi siete rivisti in qualche dettaglio, che sia stata a LA DOLOMITICS o durante un’altra avventura! Appuntamento alla prossima settimana con il secondo episodio e con i primi colpi di pedale sul Passo Valles…


EPISODIO 2 – I PRIMI COLPI DI PEDALE

Ritrovo Paolo e ho la fortuna di cominciare a pedalare con lui, scambio ben più di due parole e il nervosismo si affievolisce. In men che non si dica giungiamo a Predazzo e attacchiamo il Passo Valles, prima asperita del menù di oggi; verso Paneveggio quei forti ci superano a frotte e Paolo li ammonisce scherzosamente, vedendoli mulinare assiduamente. Un pedalatore raccoglie il consiglio di Paolo e si unisce a noi all’altezza del bivio per il Rolle: è Felice da Formigine, un salentino trapiantato nel modenese con un debole per i Monti Pallidi. Entrambi avrebbero dovuto completare la variante Giau: chi l’avrebbe detto che avremmo condiviso tutto per le successive 17 ore! 

Da qualche parte bisogna sempre cominciare, è vero, ma farlo con il Valles non è il massimo della vita. Alla mancanza di riferimenti (lo affronto per la prima volta) si unisce un profilo altimetrico scostante, che a pendenze moderate alterna rampe in doppia cifra. Superato l’empasse iniziale le gambe cominciano a girare e mi portano in vetta, dove troviamo un fornito ristoro. Giusto il tempo di trangugiare qualcosa e ci buttiamo nella lunga discesa verso Cencenighe. Su verso Alleghe, poi si gira per Rocca Pietore dove timbriamo il cartellino di viaggio, si affiancano i Serrai di Sottoguda andati distrutti purtroppo dalla tempesta Vaia (sigh!) e a Malga Ciapela comincia il “pontaron” del Fedaia. Questo lo conosco, basta andar su senza fare i fenomeni e con il 34×28. Ma il 28 non sta su. Ogni volta che mi alzo sui pedali la catena scatta e va sul 26. Tiro un ostione, la rimetto sul 27, poi sul 28, e salta di nuovo, altro ostione e il ciclo ricomincia. Alla Capanna Bill mi arrendo e continuo col 27, con buona pace della diocesi di Belluno. Inconvenienti tecnici a parte, tutti e tre saliamo belli regolari con lo stesso ritmo e scolliniamo col morale alto: anche la seconda salita è stata percorsa all’asciutto. Picchiata su Canazei e comincia il Pordoi. “Beh, questo è facile” penso al primo tornante. Avrei fatto meglio a tacere. Paolo e Felice procedono col ritmo del Fedaia, io invece non vado su neanche a sputi, dopo qualche km mi stacco e devo impegnarmi a fondo per non perderli di vista. Ad affossare definitivamente le mie precarie certezze arriva la pioggia, che nel giro di una decina di minuti diventa temporale. A un paio di km dal Passo riagguanto gli altri due fermi a bordo strada per indossare la mantellina, valichiamo il Pordoi e ci gettiamo in discesa per non sentire troppo il freddo. La pioggia diventa torrenziale, si fatica a vedere la strada, giungiamo ad Arabba e senza averlo concordato ci infiliamo tutti e tre nello stesso bar….

Otteniamo dal gestore un provvidenziale rotolone industriale di carta assorbente con il quale riusciamo a toglierci di dosso un po’ d’acqua. Continuare è improponibile al momento, Felice soffre parecchio il freddo e pensa a quale pullman prendere per tornare a Tesero, Paolo valuta di risalire al Pordoi per poi scendere fino alla partenza, io nella mia ignoranza consiglio di prendere tempo e di non ragionare a stomaco vuoto: pasta al ragù per tutti!

Rifocillati torniamo a ragionare sul da farsi: consultando numerosi radar meteorologici troviamo un po’ di speranza nello spostarsi verso est della perturbazione. Aspettiamo la fine della pioggia trasformando senza ritegno il bagno in un essiccatoio, in cui i phon da parete vengono usati al limite del surriscaldamento per cercare di rendere indossabili gli indumenti alluvionati. Al gestore non abbiamo detto niente. Se vi capita di passare da Arabba, fermatevi al Bar Peter, hanno sopportato orde di ciclisti fradici e si meritano una visita. 

E dopo sole 3h e 45’ di sosta forzata ritroviamo la strada! Temperatura precipitata di almeno 10 gradi, ma almeno non piove più, che bello! L’entusiasmo dura mezzora: a metà Falzarego torna a piovere, a piovere forte. Proseguiamo tutti con la stessa andatura, in cima ci arriviamo, ma stavolta sembra davvero che l’avventura debba concludersi. Fa freddo anche all’interno del bar e non troviamo nemmeno un phon, ci si asciuga con le salviette. Riprendiamo a pedalare nella -vana- speranza di scaldarci. Quasi ci riusciamo coprendo i 2 km che ci separano dal Valparola, ma la pioggia che ofusca la sottostante Val Badia e la temperatura di +2.5° ci fanno capire che la discesa sarà molto peggio della salita. Faccio traiettorie da cani, a ogni curva mi vedo per terra, nei rettilinei devo applaudirmi perché non sento più le dita non sento più le mani quasi quasi mi piscio addosso così mi scaldo, ho la testa ghiacciata, ecco sono malato dovevo stare a casa non tornerò mai più addio. Raggiungiamo finalmente La Villa e nel falsopiano verso Corvara penso alle parole migliori per comunicare agli altri il mio ritiro…


EPISODIO 3 – DAL “RITIRO” ALLA RINASCITA

“Cosa davvero può fare la differenza tra un ritiro e una splendida avventura, tra il ricordo dell’amaro in bocca e un dolce pensiero di una sfida portata a termine con grande emozione? La compagnia di un amico o di un compagno di avventura che ti sprona a continuare, un passo alla volta!”

Hotel Tablé, secondo punto di ristoro; scendo dalla bici, sto per dire “signori, grazie di tutto”, ma non appena pronuncio sig- vengo interrotto dall’esultanza di Felice, al settimo cielo per aver terminato la terribile discesa. Non me la sento di smorzare l’entusiasmo e opto per il posticipo del ritiro, meglio entrare a scaldarsi intanto. Ai nostri occhi si materializza un eden di bevande calde, golose torte e soprattutto tante, tante morbide coperte, nelle quali ci abbandoniamo per ritrovare calore, forze e morale.

E non è tutto, anche il tumulto del cielo giunge finalmente al termine, e la strada che sale verso Passo Gardena viene illuminata dai tanto agognati raggi del sole. A darci l’ultima iniezione di fiducia è la gentilissima cameriera, che complimentandosi con noi ci fa notare che siamo gli unici ad aver raggiunto il ristoro.  Ogni mio malessere svanisce e i propositi di ritiro sono ben presto accantonati: c’è una Rando da portare a casa!Montiamo in sella ai nostri cavalli metallici e attacchiamo il Gardena di ottima lena, corroborati dal sole che rivela ai nostri occhi paesaggi mozzafiatoresi eterei dal vapore che lentamente sale dall’asfalto conferendo un tocco onirico al nostro sforzo. Ed è proprio questa particolare atmosfera che comincia a pizzicare alcune corde all’interno di tutti e tre: mettiamo da parte riserve e imbarazzi, si comincia a parlare di interessi, di affetti, di passioni, con una piccola ma crescente consapevolezza di vedere la fine di questa giornata fuori dall’ordinario. Anzi, straordinaria! 

La conversazione aiuta a mitigare la fatica, Paolo sfodera canti di montagna a profusione e quasi senza accorgerci scolliniamo: breve discesa e siamo subito sulle rampe del Sella. Purtroppo il sole muove implacabilmente verso ovest e quando siamo in cima sparisce definitivamente dietro all’imponente massiccio del Sassolungo.Troviamo il ristorante del Passo ancora aperto, c’è tempo per una Coca e per un provvidenziale paio di guanti da cucina che posso finalmente indossare sotto a quelli in tessuto, irrimediabilmente fradici e ghiacciati per l’acqua presa sul Falzarego. La luce del tramonto ci permette di scendere in sicurezza verso Canazei, la quale viene attraversata rapidamente per intraprendere il falsopiano che discende la Val di Fassa fino a Vigo, dove abbandoniamo la Statale per cominciare la penultima fatica, il Costalunga.

È il più corto, è il più facile, c’è la pianura, l’ho salito la scorsa settimana…tutte balle! Al limite dei 200 km percorsi ogni difficoltà si amplifica, e la rampa verso la prima galleria sega le gambe, il tratto centrale pare dilatarsi, il falsopiano non vuole saperne di arrivare, mentre la luce del giorno si affievolisce pedalata dopo pedalata. Le energie scarseggiano e di mangiare non c’è verso, ho lo stomaco chiuso e pure le mascelle non ne vogliono sapere di masticare. 

Faccio pure l’errore di prendere un gel tutto d’un fiato trovandomi a ruttarlo per la successiva mezz’ora, per la gioia di Felice e PaoloCon una condizione fisica prossima al sanatorio mi viene fortunatamente in soccorso la testa, che vuoi per istinto di sopravvivenza, vuoi per un’innata propensione al cazzeggio, comincia a spararmi musica nelle orecchie quasi come se indossassi le cuffie.  Mi ritrovo a cantare con trasporto Franco Battiato nel tratto pianeggiante prima del Passo tra gli sguardi divertiti dei miei compagni. Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire è oltremodo azzeccato: nel crepuscolo compaiono le luci degli alberghi del Costalunga, dove ci attende il terzo e ultimo ristoro.

La “siora” del bar non è proprio felice di vederci arrivare, dato che si sarebbe aspettata ben altra affluenza di partecipanti, e sfoga su di noi la sua delusione per gli strudel rimasti invenduti. Fiutato il clima non proprio amichevole optiamo per un caffè al volo e usciamo per tornare in sella. L’escursione termica è terribile, la notte appena iniziata ha portato con sé un gran freddo, la temperatura raggiunge a stento i +7°. Sono le 22 circa, Paolo telefona a Maurizio per comunicargli l’ora prevista per il nostro arrivo; ormai siamo tutti e tre concentrati sull’ultimo scoglio da superare, ma la picchiata verso la Val d’Ega è lunga e insidiosa ed essendo sulla carta quello più esperto del percorso, vengo nominato apripista. Peccato non aver mai guidato una bici di notte! O meglio, un precedente ci sarebbe, però è piuttosto infausto: ovvero quando ancora bociazza, di ritorno da una festa notturna in campagna, sono finito in un fosso; quindi, ostentando sicumera, accendo il pesantissimo faro da discoteca che ho portato tutto il giorno su e giù per le Dolomiti e illumino a giorno la carreggiata. Tra i boschidi Carezza riusciamo a intravvedere il profilo del Rosengarten-Catinaccio rischiarato dalla pallida luce della luna,che ci regala un’altra diapositiva da custodire negli archivi mnemonici…

EPISODIO 4 – LASSU’ FINO ALLA “PALLA DI LEGNO”

22:30, Bar Rosengarten di Ponte Nova. Incuranti delle norme Covid i locali si accalcano al bancone del bar consumando birra e brandy-cola. La loro libagione viene improvvisamente interrotta da tre malcapitati con vestiti attillati e scarpe col tacco davanti che irrompono nel locale in cerca del penultimo timbro da apporre sulla loro carta di viaggio. I tre malcapitati siamo noi, che ritiriamo il documento ed usciamo tra gli sguardi incuriositi ed etilici dei presenti. Montiamo in sella per l’ultima salita, il Passo di Pampeago. L’oscurità toglie ogni riferimento, il traffico è inesistente, le uniche luci sono quelle emesse dai nostri faretti, che per via del nostro sforzo illuminano a volte la strada, a volte la fitta selva che ci circonda. Non si parla più molto, si centellina il fiato per non accentuare la fatica. Proprio per via del buio non ho ricordi o sensazioni particolari da rievocare, l’impressione è quella di pedalare in una dimensione parallela, quasi scollegata dall’ordinario. Le luci di Obereggen ci ricordano che la realtà esiste ancora al di fuori della coltre di emozioni e acido lattico nella quale siamo immersi da oltre 12 ore, e alla rotonda cominciamo l’ultimo strappo fino al culmine della salita. Lo sforzo è intenso, la salita non vuole saperne di mollare ma stringiamo i denti e arriviamo alla contropendenza della Malga Laner.

Nella breve discesa mi aspetto da un momento all’altro di trovare i pinguini e per non patire troppo il freddo spingiamo con ritrovata vigoria, anche perché sappiamo che sotto i nostri copertoncini si sta esaurendo l’ultimo km di salita. Felice è psicologicamente provato dal finto scollinamento di Malga Laner e dubita fortemente delle nostre indicazioni: gli abbiamo detto infatti che lo scollinamento è indicato da un’enorme palla di legno posta in cima al Passo.

Tra un “non ci credo” e l’altro riusciamo finalmente a convincerlo quando le nostre luci rischiarano finalmente la lignea sagoma tondeggiante, ed appurato che non si trattasse di un’allucinazione per la fatica, ci troviamo ad esultare a gran voce alla vista de “na bala de leign”. Per distacco il momento più poetico della giornata.

Non ci sembra neanche vero, siamo in cima, basta salita! Non abbiamo neanche il tempo di realizzare e celebrare la cosa, giusto il tempo di un selfie, ci sono solo 4° e dobbiamo coprirci alla svelta per cominciare la gelida e insidiosa discesa punteggiata di “giarin” verso l’Alpe di Pampeago, seguita dalla vertiginosa picchiata su Tesero. Non è ancora il momento di festeggiare, la stanchezza si fa sentire e con il buio è complicato restare lucidi; prendo velocità in un attimo, pinzo i freni come un forsennato, ho le formiche alle mani (nonostante anni di allenamento…) mentre collo e braccia hanno ormai l’elasticità di un tondino in acciaio, ma in un modo o nell’altro giungo a valle seguendo le traiettorie di Paolo e Felice. A Tesero ci sarebbe l’ultimo posto di controllo presso il Bar Stella, ma lo troviamo chiuso e optiamo per immortalarlo nell’ultima foto di giornata.

Non sono nemmeno due i chilometri che separano Tesero dalla frazione Lago. Sono tutti al buoi e in discesa, e di ciò che fisicamente mi stesse circondando non ho il benché minimo ricordo. Eppure, a distanza di mesi sono in grado di rivivere tutti i pensieri e le emozioni che si sono affastellate nella mia mente durante quel breve tragitto. Le ansie del Valles, le ostie del Fedaia, la crisi del Pordoi, la pioggia del Falzarego, la gioia del Gardena, il morale del Sella, la consapevolezza del Costalunga, la breve esaltazione di Pampeago e ancora le discese, la fame, i piedi alluvionati, le risate, il freddo, gli incoraggiamenti che hanno reso indimenticabile la mia prima randonnée. Rotonda, ponte, svolta a destra, traguardo. La voglia di fare qualsiasi cosa mi travolge e finisco per non fare proprio niente, infatti scendo dalla bici e mi guardo attorno attonito. Vedo Paolo che come se niente fosse sta già commentando la giornata con lo staff, mentre Felice è un fiume in piena di calde lacrime di gioia e viene sommerso dall’abbraccio della famiglia. Per un solo istante vengo preso dalla malinconia: ma come, è già finita? È già finita ‘sta Dolomitics, che mi ha saputo stremare ed emozionare, che mi ha condotto in posti dalla bellezza inestimabile, che mi ha fatto conoscere due persone splendide? Sarebbe bello ricominciasse.


IL TROFEO K.O.R. CONSEGNATO DOPO IL COMPIMENTO DI TUTTI I PERCORSI “LA DOLOMITICS”